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News 2026


"L'uso dei collanti biologici per il confezionamento degli autoinnesti venosi nella microchirurgia ricostruttiva dei vasi linfatici:Studio sperimentale nel ratto."


Finelli A., Persico M., Persico G..

Università degli Studi di Napoli Federico II

Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Cattedra di Chirurgia Generale

V Divisione di Chirurgia Generale e Geriatrica.

Direttore Prof : G .Persico

Via S.Pansini 5 (80131) Napoli

Tel .081\746 2522


Riassunto

Numerose sono le tecniche microchirurgiche proposte per la correzione dei linfedemi cronici, tra queste l'uso degli autoinnesti venosi è certamente quella che risponde meglio alle esigenze di tale chirurgia . Tuttavia le difficoltà tecniche legate alle esigue dimensioni delle strutture su cui si lavora spingono a ricercare accorgimenti tecnici che allo stesso tempo rendono l'atto operatorio più semplice nella esecuzione e più efficace nei risultati a distanza. Per raggiungere tale scopo si propone l'uso di un collante biologico (colla di fibrina umana) nel confezionamento delle anastomosi linfo-venose telescopiche quali sono quelle adottate per gli autoinnesti venosi pro vasi linfatici.


Problematiche

L'uso dei collanti biologici negli ultimi 10 anni ha riscontrato grandi consensi nel campo della chirurgia addominale (anastomosi viscerali, emostasi delle trance di sezione di organi parenchimali come il fegato e la milza). Minori successi si sono ottenuti con il loro uso in chirurgia vascolare probabilmente per le caratteristiche trombofiliche del prodotto. Poco si ritrova in letteratura sul loro uso circa la realizzazione delle anastomosi linfo-venose ed in particolare di quelle telescopiche utilizzate per la esecuzione di autoinnesti di vena pro-linfatici. L' utilizzo degli autoinnesti di vena rappresenta una soluzione tecnica molto valida per risolvere alcuni problemi della microchirurgia ricostruttiva dei linfatici quali quello di realizzare la connessione tra collettori linfatici molto distanti oppure quello di anastomosi linfo-venose non realizzabili per uno stato di ipertensione del circolo venoso .


Obiettivi dello studio

Riguardo tale argomento si propone un protocollo di studio comparativo tra anastomosi telescopiche linfo-venose eseguite con e senza l'ausilio dei collanti biologici. Esso prevede l'utilizzo di 20 ratti Wistar dal peso di 350gr: ed età compresa tra i 3 ed i 6 mesi nei quali dopo aver realizzato un linfedema degli arti posteriori legando i collettori linfatici paracavali si procede al ripristino della loro continuità innestando la vena epigastrica inferiore prelevata all'inguine. La realizzazione di tali innesti prevede l'esecuzione di anastomosi telescopiche con o senza l'utilizzo del collante biologico al fine di verificare i benefici che derivano dal suo uso.


Disegno sperimentale

I venti ratti saranno divisi in 2 gruppi omogenei ; il primo gruppo (10 ratti) sarà costituito da campioni nei quali si eseguiranno anastomosi con l'ausilio della colla di fibrina , il secondo gruppo (10 ratti) sarà costituito dai controlli ovvero dai ratti nei quali le anastomosi linfo-venose verranno realizzate senza l'ausilio dei collanti biologici. Lo studio inizierà con la creazione di un linfedema iatrogeno agli arti posteriori dei ratti tramite legatura dei linfatici paracavali. Tutte le procedure saranno eseguite nel pieno rispetto del d.leg.vo116\92 e delle raccomandazioni del C.I.O.M.S. (Council For International Organization Of Medical Sciences) in materia di sperimentazione sugli animali. Pertanto tutte le procedure arrecanti dolore all'animale da esperimento saranno condotte in anestesia generale (indotta con etere e mantenuta con barbiturico intraperitoneale :Tiopentale 4 mg.\100gr.p.c.) od in neuroleptoanalgesia (Fentanile e droperidolo al dosaggio di 0,5ml\100gr. p.c.im. all'induzione e 0,2ml\100gr.p.c.im. per il mantenimento). Dopo la creazione del linfedema iatrogeno i ratti verranno sottoposti a relaparotomia con autoinnesto di vena epigastrica inferiore prelevata all'inguine dove si procederà alla somministrazione sottocutanea del colorante linfocromico Blue Patent V per agevolare la identificazione dei collettori linfatici paracavali. L'innesto di vena autologa sarà eseguito adottando la tecnica delle anastomosi telescopiche per inosculamento dopo aver sezionato un breve tratto dei collettori linfatici paracavali. Per l'innesto si userà materiale di sutura non riassorbibile monofilamentoso del calibro 10-11 zero. L'inosculazione del collettore linfatico nell'innesto venoso avverrà introducendo il\i vasi linfatici nella vena ad una distanza dai margini di quest'ultima di 0,5 mm con singolo punto ad U annodato all'esterno dell'innesto venoso. L'affrontamento dei margini della parete venosa su quella linfatica verrà invece eseguita con modalità diverse nei due gruppi di ratti. Nel primo gruppo verrà eseguito apponendo il collante biologico mentre nel secondo gruppo si procederà alla classica tecnica microchirurgica che consiste nell'eseguire l'affrontamento ponendo dai 2 ai 4 punti di sutura intorno ai margini. In questo secondo caso si utilizzerà lo stesso materiale di sutura utilizzato per l'inosculamento. Successivamente i ratti verranno sottoseriati in quattro gruppi di 5 ratti e sacrificati a distanza di 15 e 30 giorni dall'intervento per l'esame istologico al M.O (microscopio ottico) ed al M.E.S. (microscopio elettronico a scansione). In tale modo si potranno verificare le differenze delle anastomosi eseguite con le due diverse modalità. Nel postoperatorio la valutazione clinica del linfedema sarà effettuata riferendosi a parametri quali la variazione del peso corporeo e con la pletismometria degli arti posteriori dei ratti. Il protocollo presentato malgrado sia volto allo studio prevalentemente delle microanastomosi linfo-venose non esclude l'eventuale utilizzo e la sperimentazione di farmaci atti a favorire la riuscita degli autoinnesti e\o accellerare la risoluzione del linfedema.


RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO

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-Corrado Campisi: "La microchirurgia dei linfatici" da MICROCHIRURGIA APPLICATA in clinica chirurgica e d'urgenza : pag.57-131. (UTET 1991)

-Cavallaro G.,e coll.:"Utilità della colla di fibrina umana a due componenti nella stabilizzazione di suture vascolari a rischio in emodializzati " Min.Chir., Vol.44 n.21, 2241\2244 15-11-89

Pubblicato su

Gastroenterology International

(vol . 10, suppl.3 p 877-878,1997)

Napoli 18 Luglio 2021

Dr. Alessandro Finelli MD - PhD

All Rights Reserved


fig. 1: 

Autoinnesto venoso di vena epigastrica inferiore  pro vasi linfatici: Studio sperimentale nel Ratto
 

fig. 2: 

Anasosmosi portacava nel Ratto:

Shunt Portavavale Termino Laterale 

Tecnica di eutanasia ex d.legvo 116/92


 

Editoriale 

Medicina dello Sport

" Effetti dell'attività sportiva sulle fasi sensibili delle capacità motorie

evolutive in età Giovanile"


 

Introduzione

Di recente abbiamo assistito ad un crescente interesse alla pratica dello sport di pallavolista e\o Taekwendoka con un notevole incremento statistico degli adolescenti ovvero di individui sia di sesso maschile che femminile di età compresa tra i 10 ed i 17 anni  (cadetti - allievi e\o juniores)  i quali vengono avviati al gioco o meglio allo sport della Pallavolo e\o delle Arti Marziali .

Senza addentrarci sugli aspetti socio culturali nonché storici che potrebbero far sorgere perplessità ,circa tale trend,  dai risvolti giuridico- bellico ]21-24] e psicologici [2-3-6-13-14]del fenomeno; bisogna affermare che questa tendenza presuppone  la conoscenza approfondita dei parametri fondamentali  che diversificano il giovane dalla Persona adulta i quali si avvicinano alle attività sportive agonistiche e non agonistiche.

Quanto sopra deve essere il giusto orientamento dell’ allenatore per la selezione e dunque il reclutamento degli atleti in formazione nonché la guida per un corretto allenamento finalizzato a dare significato umanitario allo scopo delle gare che essi si accingono ad affrontare  nel corso della fase dello sviluppo psicofisico dell’individuo .

Una corretta metodologia, che deve essere cardine dell’approccio pedagogico sportivo dell’ allenatore,  risulta la condicio si ne qua non  per un armonica maturazione degli adepti verso quella disciplina con cui si potrà con certezza costruire i futuri campioni laddove  ne sussistono le attitudini  psico fisiche .


 

Materiali e Metodi

Tale elaborato, inteso come relazione tecnico motivata del candidato finalizzata al conseguimento del diploma di allenatore federale, verterà sulla disamina di quanto è stato oggetto delle lezioni di corso  di allenatore  dei docenti  incaricati dalla federazione nazionale, nonché sulla lettura recensiva del manuale del suddetto  corso di formazione  ed infine  della bibliografia citata in allegato alla presente trattazione [1-24].


 

Discussione

Il candidato laureato in Medicina e Chirurgia c\o l’Università degli studi di Napoli Federico II ma già pallavolista dall’età di 10 anni o meglio dal 1975 sicuramente non può non considerare nel corso della trattazione dell’argomento il suo vissuto di atleta in formazione prima e di atleta professionista poi, militante in squadre Campane quali il Domenico Padula (  juniores under 18- II divisione – I divisione – serie C2 - B [ A3]).

Volere della casualità intesa come fato o meglio della τυχη( greco = sorte) ha fatto sì che il corso frequentato dal cadidato  scrivente si sia tenuto c\o palestra dedicata all’istruttore ed allenatore  del relazionante.

Ivan Merigioli che tanto contributo ha dato alla pallavolo sia campana che nazionale italiana costruendo campioni che hanno come il Giovanni Errichiello raggiunto le mete più ambite per un atleta.pallavolista.

Gli insegnamenti del Merigioli rimarranno indelebili nella mente di tutti quanti lo hanno avuto come istruttore nelle fasi sensibili dello sviluppo sportivo del proprio vissuto di atleta.

Ma cosa si intende per fase sensibile delle capacità motorie di un atleta in formazione al giorno di oggi ?

Quanto già ancestralmente descritto da storici relativamente alla selezione , formazione e preparazione  bellica dei giovani  dai tempi della guerra tra Sparta ed Atene e nel contempo quanto già sentito e scientificamente comprovato da oltre trenta anni anche dal pionieristico Merigioli c\o centro di avviamento allo sport dei VVF di Napoli c\o Caserma Domenico Padula di Napoli,  si riconoscono nelle fasi evolutive dello sviluppo psicosomatico del giovane avviato alle attività sportive delle fasi sensibili o meglio dei momenti strategici durante i quali fisicamente e\o psicologicamente il giovane atleta presenta maggiore e\o minore attitudini ad una formazione armonica del proprio fisico od una acquisizione basilare di tecniche sportive specifiche od aspecifiche in ordine alla disciplina sportiva praticata.

Gli autori riconoscono durante lo sviluppo ontogenetico extrauterino dell’atleta delle fasi statiche e delle fasi dinamiche ; le fasi dinamiche sono proprie dell’età prepuberale  mentre le fasi statiche possono far equiparare il giovane sportivo all’atleta in età postpuberale ma mai all’individuo adulto.

Si tiene a precisare che il lavoro svolto dall’ allenatore non può essere sortito da successo se addirittura non dovesse diventare nocivo per il giovane atleta, la sua famiglia e l’intera collettività se non viene inquadrato in un contesto sociale di largo raggio in cui bisogna vedere coinvolti un team che non può essere ristretto allo staff tecnico della palestra frequentata da allievo ed allenatore ma deve essere esteso all’intero contesto sociale impegnato nella istruzione ed educazione del giovane.

Se non si vogliono patire disastri sociali che poi comportano l’allontanamento dell’allievo dalla disciplina sportiva che inizia come attività ludica integrativa , e tale dovrebbe rimanere anche nell’atleta professionista agonista formato, ovvero un ritiro dalla disciplina sportiva da parte dei suoi genitori se non un procedimento giudiziario civile e\o penale a carico dell’allenatore ed istruttore di Arti Marziali bisogna sensibilizzare l’intero ambiente, inteso come microcosmo nel quale si opera la formazione in fasi sensibili del giovane atleta.

Il fattore ambientale, definito generico, si associa a quello specifico legato al substrato antropometrico e psicologico dell’allievo nel giocare da variabili ora dipendenti (casuali e dunque continue) ora indipendenti e dunque manipolabili (non casuali e dunque discrete) dall'allenatore - Istruttore ed altri , un ruolo chiave per il raggiungimento dello scopo : la formazione di campioni professionisti agonisti o campioni dilettanti non agonisti socialmente integrati in una società democratica moralmente sana e dunque Umana , nella maggior parte dei casi come professionisti laureati.

Da qui la grande responsabilità materiale e morale  dell’ allenatore che spesso in talune fasi statiche dello sviluppo sensibile del giovane atleta diventa il suo Tutor Carismatico che può anche prevaricare su quel ruolo educativo che svolgono ambiente familiare – scolastico e sanitario da cui è circondato  l’allievo.

Dunque l’ allenatore per raggiungere tale obbiettivo di carisma senza degenerare nel plagio che potrebbe distogliere l’allievo da ugualmente umani obbiettivi educativi della famiglia e dei docenti scolastici coadiuvati dai loro sanitari di fiducia ( medico curante), deve sempre porre in primo piano l’obbligo di collaborazione  professionale soprattutto con educatori scolastici dell’allievo ma primo fra tutti con il sanitario di fiducia che deve certificare l’idoneità psicofisica alla pratica sportiva non agonistica del giovane.

Se da un lato il lavoro risulta facilitato da quanto dichiarato in introduzione ovvero dalla diffusione della pratica  sportiva di pallavolista soprattutto in ambiente scolastico ove oggi non esiste infrastruttura priva di impianto sportivo atto alla pratica di tale disciplina d’altro canto problemi insorgono con la collaborazione del professionista sanitario impegnato nell’assistenza e controllo dei percentili di crescita del giovane atleta ovvero il supervisore di uno sviluppo armonico dell’individuo in fase evolutiva.

Proprio tale sanitario dovrebbe pilotare l’allenatore al che gli obiettivi strategici siano conseguiti e certamente la recente normativa che regolamenta in materia di assistenza sanitaria pediatrica non favorisce il raggiungimento di tale obiettivo quando ammette il passaggio del giovane dall’assistenza pediatrica all’assistenza medico generica a partire dagli anni 6 di età e non più dai15 anni di età.

La cura del  fattore dietetico ed il maniacale controllo delle curve dei percentili di crescita  ( peso \ altezza) tramite apposite tabelle di contingenza risultano quelle variabili statisticamente significative per il conseguimento di risultati scientificamente rilevanti in materia, nonché un onere a carico del sanitario di fiducia a cui  tecnicamente non può adempiere con successo il Medico di Medicina Generale convenzionato col s.s.n. laddove invece può facilmente permettersi tale assistenza su larga scala il sanitario specialista convenzionato per la Pediatria Generale.

Una appropriata dieta , una corretta integrazione idro salina del giovane atleta ed in casi specifici o selezionati il ricorso ad integratori dietetici giuridicamente ammessi sicuramente rendono più facile il lavoro dell’allenatore di un allievo pallavolista durante le sue fasi sensibili delle capacità motorie evolutive . [ 1-7-10-15-16-18-19]

Le fasi sensibili di cui sopra vengono dunque definite statiche e\o dinamiche.

Le fasi sensibili dinamiche determinate da fattori specifici non manipolabili  per lo più geneticamente determinati (caratteri biocostituzionali ed antropologici del giovane pallavolista e\o taekwondoka , assetto tireometabolico, assetto glucido, protido e lipidometabolico etc…) e da variabili ambientali indipendenti (dieta, clima, inquinamento ambientaleetc….)si vengono a concretare nei periodi dell’accrescimento dell’apparato locomotore  dell’allievo; tali variabili  inesorabilmente comportano anche una parallela  evoluzione organica  degli altri apparati ed una maturazione psichica dell’individuo il quale impara ad adattarsi nelle sue evolute ma modificate nuove dimensioni corporee.

Tutto ciò comporta quelle modificazioni degli atteggiamenti comportamentali dell’atleta che si concretano con una maturazione della Personalità sportiva.

L’atleta in tali fasi impara a conoscere e definire le sue potenzialità ed i suoi Limiti.

Ruolo determinante svolge in tali fasi quello dell’allenatore il quale deve far comprendere all’allievo che è il momento di non farsi sconfortare dagli insuccessi tecnici di apprendimento ed applicazione ma è necessario curare lo sviluppo armonico del corpo dell’atleta. [14-17]

Le fasi statiche sensibili delle capacità motorie evolutive invece sono quei momenti di quiescenza dell’accrescimento biosomatico del giovane atleta ; sono queste le fasi che maggiormente affascinano allievo ed allenatore che vivono una sorta di simbiosi psicologica tra le due icone di quello che non va considerato né un circo equestre né una fossa per gladiatori ma un Impianto Sportivo dove si costruiscono Campioni :

Il Campo di Pallavolo e la pedana delle Arti Marziali..

In tali fasi evolutive l’allenatore e l’allievo devono intensificare quelle operazioni di apprendimento ed istruzione delle tecniche di gioco pallavolistiche ed arti marziali .

Il successo è assicurato ; l’allievo non ha disturbi dell’attenzione [3-6-13] , è concentrato perché ormai coordinato nelle sue nuove dimensioni corporee, non ha disturbi dell’apprendimento avendo imparato e consolidato i suoi nuovi assetti ergonomici anzi ha una grande volontà di apprendimento e di competizione che vanno soddisfatte  con confronti in gare giovanili ufficiali [2]; ricorderà per tutta la vita gli insegnamenti dell’allenatore e tutto ciò svilupperà in essi grandi Capacità Ideative.

D’altro canto l’allenatore vede crescere in maniera esponenziale il suo giovane atleta temporaneamente costruito che diventa come una punta di diamante di un gioiello prezioso dalle sei alle dodici brillanti stelle in zaffiro.

I suoi sforzi, se ha ben lavorato, vengono ripagati .

Nel corso delle fasi sensibili sia statiche che dinamiche l’allenatore deve lavorare considerando le seguenti 4 costanti definite capacità motorie evolutive dell’allievo:


 

  1. Forzaveloce dell’atleta
  2. Resistenza
  3. Motilitàarticolare
  4. Coordinazionemotoria


 

Dopo la pubertà o meglio quando l’allievo ha raggiunto i 15 anni di età si assiste ancora ad una fase sensibile ormai stabile che dura fino al compimento del 17^-18^ anno di età . Durante tale periodo l’allenatore dovrà curare una quinta capacità motoria evolutiva del giovane atleta che ancora non può essere considerato adulto

5. Forza massima


 

La forza veloce dell’atleta va intesa come la capacità motoria del giovane in età evolutiva di compiere movimenti rapidi e veloci a discapito della potenza fisica. Si sfruttano le capacità elastiche   dell’apparato locomotore proprie delle fasi sensibili dinamiche quando l’allungamento delle ossa lunga a livello delle cartilagini di accrescimento non consentono all’atleta di usufruire di una ottimale coordinazione motoria e motilità articolare.


 

La resistenza invece è quella capacità motoria dell’età evolutiva che consente all’atleta giovanile , preferibilmente in condizione di aerobiosi ovvero senza effettuale un lavoro che lo mandi in debito di ossigeno e dunque in acidosi lattica , di resistere allo sforzo fisico e dunque di migliorare la propria performance cardiorespiratoria.

Soprattutto nelle fasi sensibili dinamiche la resistenza deve essere praticata in condizioni di aerobiosi in quanto uno stress anaerobico produrrebbe uno stato di acidosi lattica muscolare la quale  equivale al deleterio danno che potrebbe arrecare una attività sportiva con cui si favorisce la cosiddetta  forza massima quale capacità motoria .

Tale attività sportiva deleteria comporta  ipertrofia muscolare con prevalenza della contrazione muscolare ipotonica da accorciamento funzionale dei muscoli su quella isometrica  senza accorciamento funzionale del muscolo ad ostacolo meccanico della ipertrofia, della iperplasia e corretta ossificazione delle cartilagini di accrescimento e dunque dell’armonico e fisiologico accrescimento osseo ed articolare del giovane atleta. [5-8-9 -11-12-20]

La  resistenza come la forza veloce sono dunque quelle capacità motorie evolutive che l’allievo allenatore deve con prudenza, perizia e diligenza curare adottando una strategia di allenamento personalizzata e concordata per il singolo atleta giovanile.[8-11]


 

La motilità articolare è quella capacità motoria evolutiva in ordine alla quale il giovane pallavolista riesce a compiere regolari escursioni funzionali delle articolazioni impegnate nel gesto atletico sportivo (palleggio – schiacciata – battuta- ricezione o bagher - muro )

Tale capacità motoria evolutiva e strettamente collegata alla quarta successiva capacita motoria  meglio definita la coordinazione dei movimenti.


 

La coordinazione motoria infatti va considerata quella capacità motoria dell’allievo pallavolista che gli consente di compiere movimenti coordinati nel tempo e nello spazio così da poter raggiungere una perfetta precisione in quelli che sono considerati i gesti atletici più impegnativi tecnicamente nella pratica sportiva della pallavolo (Schiacciata ed alcune tecniche di battuta) .

La motilità articolare e la coordinazione motoria sono quelle capacità motorie evolutive che in simbiosi tra loro  fanno da gemellaggio, nelle fasi sensibili statiche dell’età evolutiva, con la capacità di apprendimento della tecnica pallavolista.

Sono queste le capacità motorie che con l’ausilio di quanto geneticamente determinato dall’orologio biologico dell’allievo l’allenatore diligente deve con perizia ossessiva curare e sfruttare al meglio.

Soltanto sfruttando al meglio tale fase sensibile con una attività sportiva che deve divertire , accanire ed agguerrire, e perché no, anche azzardare il giovane allievo….. un allenatore di categoria può costruire un campione pallavolista che potrà ambire, se lo vuole, a prestigiosi traguardi agonistici senza mai più allontanarsi per tutta la vita da quella sana, formativa ed umana disciplina sportiva non per vilipendio chiamata PALLAVOLO e\o TAEKWONDO..  [8-11]

Breve cenno merita quella capacità motoria evolutiva definita forza massima la quale viene curata dall’allenatore che si trova ad operare su giovani atleti i quali adulti ancora non possono essere considerati né giuridicamente,  né biologicamente né cronologicamente ( under 18 Juniores) .


 

La forza massima è quella  capacità motoria di compiere attività sportive in condizioni di anaerobiosi prima ed aerobiosi poi con cui si ottiene ipertrofia muscolare e potenziamento fisico di un atleta che ormai ha raggiunto il suo definitivo sviluppo  staturale . Il risultato talune discipline sportive , come il nuoto e le arti marziali,  lo conseguono svolgendo in condizioni di anaerobiosi gli stessi esercizi tecnici ed atletici che caratterizzano la cura della forza veloce come capacità motoria.

Per la pallavolo la questione risulta un poco più costosa , così come per quasi tutte le altre discipline sportive in cui si gareggia con l’utilizzo di una sfera , in quanto necessita una sala attrezzi per eseguire attività di pesistica finalizzata ad un armonico sviluppo di quella parte dell’apparato locomotore ( i muscoli ) maggiormente impegnato nei gesti atletici di gara o meglio di competizione sportiva.  [4]


 

Conclusioni

Per concludere possiamo affermare che gli obiettivi del corso come quelli del presente elaborato sono stati conseguiti con  significativa rilevanza.

Il candidato ha dimostrato di avere raggiunto livelli ottimali di conoscenza della materia trattata e studiata comunque alla stregua di un substrato socio culturale che a pieno titolo gli consente di meritare il conseguimento del  diploma di ALLENATORE ed Istruttore  ma che nel contempo gli consentirà di praticare con Padronanza l’Arte e la Professione di Allenatore e\o Istruttore per successivamente ambire al conseguimento di Superiori  livelli e gradi  di Allenatore e\o Istruttore Agonista.  .


 

Bibliografia

  1. Benzi G .: MitochondrialEnzyme Adaptation To Endurance – Istitute Of Pharmacology –University  Pavia 1985
  2. Calligaris A .:Destrezza MaiLasciarla In Panchina .- Sport E Medicina , 2:44-51, 1984
  3. Cei A., Bergherone C.,Ruggeri V., I Problemi Attentivi Negli Sport Di Situazione .Movimento,1: 16-22, 1987
  4. Di  Prampero  P.E. PiferaLimas  F. Sassi G. : Maximum Muscolar Power In 116athlets PerformingAt The 19^ Olimpic Games . Ergonomics , 13 : 665-74, 1978
  5. Donskoj D., Zatziorskij Vm.:Biomeccanica S.S.S. Roma  1983
  6. Freud S.:Il Disagio NellaCiviltà Edit. Scienza moderna. Roma  1980
  7. Gasbarrini G., Trevisanif.,Corazza G.R. : Fisiopatologia Digestiva Da Sport. Progressi InMedicina Dello Sport -.Castrocaro pp. 253-266 – 1985
  8. Harre D. : Teoriadell’allenamento . S.S.S. - .Roma
  9. Margaria R. : FisiologiaMuscolare e Meccanica Del Movimento .Est Mondadori pp. 49-55 1975
  10. Marzatico F., Benzi G.: IlRiequilibrio Idro-Salino Nello Sport .Atletica Studi , 2: 143-156.1988
  11. Meinel K., Teoria delMovimento S.S.S. -.Roma 1984
  12. Morehouse L.E., Miller At.,Fisiologia dell’esercizio . Il Pensiero Scientifica – Roma 1978
  13. Piscitelli V.: Attenzione:Definizione e  Psicologia . Enc Med Ital. II Uses Firenze 1973
  14. Scarselli S.: Allenamento eBioinvalidità Atletica . Med.Sport 38:57-60, 1985
  15. Siliprandi N.: Transport AndFunction Of Carnitine : Relevance  To Carnitine. Deficient Disease .---Membrane Pathology—Bianchi G., Carafoli E., Scarpa E.:Ann.N.Y.Acad. Sci. 488:118-125 1986
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  18. Turchetto E. : RecentiAcquisizioni Sugli Acidi Grassi Essenziali Con Particolare RiguardoAll’azione Dell’acido Alfa Linoleico Sulla Retina e Le VieOttiche.. Rassegna Inter. Med. Sport- (2) 1-5 1986
  19. Turchetto E, Veronesi C., :Scelte Nutrizionali Protettive Degli Xenobiotici . Atti Congresso-Aspetti Medici Dell’endurance pp. 72-88 Pisa 1988
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  21. Statuto di Roma  (Legge232/1999) Art 8 c.2 b.xxvi
  22. Convenzione  Internazionale -Assemblea Generale Nazioni Unite  -  New York 4 Dicembre 1989
  23. Legge 210/1995  (Artt 1-8)
  24. D.leg.vo   n 43/1948

DrAlessandro Finelli MD - PhD

Napoli 18 febbraio 2022

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Dr. Alexander Finelli MD - PhD : Il Crisantemo - Il Fiore della Mestizia



Editoriale di Autore

Microchirurgia Sperimentale Clinica

Indici predittivi le difficoltà tecniche nella chirurgia tradizionale del varicocele .


Finelli A., Amato B., Merolla A., Persico F., Persico G..


Università degli Studi di Napoli Federico

II Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Cattedra di Chirurgia Generale

V Divisione di Chirurgia Generale e Geriatrica.

Direttore Prof : G .Persico

Via S.Pansini 5 (80131) Napoli

Tel .081\746 2522


Riassunto

Spesso l’insuccesso terapeutico del trattamento del varicocele idiopatico viene attribuito alla imperizia dell’operatore e\o alle difficoltà tecniche che tale tipo di chirurgia presenta. Gli autori cercano con il seguente studio di identificare le possibili difficoltà che si incontrano nell’approccio a tale tipo di chirurgia ed analizzare quei fattori predittivi utili a quantificarne l’entità. Introduzione Oggi numerosi autori tendono a confrontare in letteratura i diversi approcci chirurgici al trattamento del varicocele rifacendosi a criteri di valutazione quali la frequenza con cui incide la recidiva della patologia e\o i risultati funzionali di tale chirurgia sui quali ancora oggi esistono notevoli dubbi.(1-2) Con l’avvento della videolaparoscopia (3) ed ancora prima con il successo riscontrato dalle tecniche microchirurgiche (4-5-6-7), rispettivamente alla fine ed agli inizi degli anni 80 , si è assistito ad un certo abbandono della chirurgia tradizionale del varicocele a favore di queste ultime tecniche. Quando si è potuto riscontrare una certa sovrapposizione dei risultati funzionali e della frequenza delle recidive tra i tre tipi di chirurgia si è ,per motivi di ordine tecnico ed economico, assistito al ritorno ed alla rivalutazione della chirurgia tradizionale da parte di numerose scuole chirurgiche .(1) Bisogna infatti considerare che, a parità di risultati funzionali delle varie tecniche chirurgiche , ai discutibili risultati estetici ottenibili con le tecniche mininvasive si oppongono gli elevati costi delle metodiche che richiedono strumentario chirurgico costoso nonché operatori esperti e dotati di una certa attitudine microchirurgica la quale richiede a sua volta un lungo e più o meno costoso Training. Non bisogna però trascurare le difficoltà tecniche che si incontrano nell’ eseguire la chirurgia tradizionale. Considerando che tale chirurgia non richiede un grande apprendistato ne tanto meno una notevole perizia da parte dell’operatore, gli autori cercano di identificare quei fattori che possono rendere difficoltosa tecnicamente tale chirurgia per poi adottarli quali parametri di confronto con le recenti tecniche mininvasive.(3-7)


MATERIALI E METODI

Dal mese di gennaio 1992 al mese di dicembre 1995 sono stati selezionati 100 pazienti affetti da varicocele con età media 24.22 anni (DS 5.98 range 13- 48 anni). Di tali pazienti gli autori hanno considerato il tempo di degenza ospedaliera e la durata dell’intervento quali indici di valutazione della difficoltà tecnica riscontrata dal chirurgo operatore. Tutti gli interventi sono stati eseguiti da un unico chirurgo di vasta esperienza adottando sempre la medesima tecnica tradizionale (8-9) di sezione alta della\e vene spermatiche tra due legature secondo Ivannissevich in anestesia generale o spinale selettiva. In tale modo si ritengono eliminate dalla analisi dei risultati dello studio tutte quelle interferenze legate alla esperienza dell’operatore ed al tipo di tecnica chirurgica adottato . L’obiettivo dello studio è quello di passare in disamina quei fattori che possono rendere difficoltosa tale tipo di chirurgia intrinseci alla patologia (grado emodinamico del del varicocele valutato con la velociflussometria doppler, latenza tra esordio della affezione ed intervento) ; nonché quei fattori intrinseci al paziente stesso ossia i suoi indici antropometrici (peso ed altezza ). I risultati funzionali di tale chirurgia sono stati valutati considerando lo spermiogramma eseguito a 24 mesi di distanza dall’intervento. I livelli di significatività statistica (P) sono stati controllati con il test T di Student ed F di Fisher ; invece il grado di associazione tra le variabili è stato esaminato con il calcolo del coefficiente di correlazione di Pearson (R) trattandosi di variabili dipendenti ( 10 ).


RISULTATI

I cento pazienti selezionati hanno presentato una età media di 24.22 anni (DS 5.98 range 13-48 anni) ; il loro peso medio è risultato di 73.16 Kg. (DS 10.53 ) e la loro altezza media di 174.73 cm. (DS 7.26 ). Si tratta dunque di un gruppo di pazienti alquanto omogeneo per quanto concerne le caratteristiche antropometriche . La latenza tra esordio della patologia ed intervento è stata di 18,87 mesi (DS 20.18) mentre la durata media della degenza ospedaliera e dell’intervento chirurgico sono stati rispettivamente di 5.2 giorni (DS 2.4 ) e 17.29 minuti (DS 6.28 ). Tutti i pazienti sono stati stadiati utilizzando come criterio emodinamico quello della entità del reflusso rilevato alla flussovelocimetria doppler distinguendo così quattro diversi gradi emodinamici . Soltanto in 52 pazienti si sono riscontrate allo spermiogramma preoperatorio alterazioni del numero e\o della motilità degli spermatozoi ( N. spermatozoi : MEDIA 42.89 milioni x ml. DS 23.81). Di questi ultimi solo 18 hanno eseguito uno spermiogramma a 24 mesi di distanza dall’intervento ( N. spermatozoi : MEDIA 60.27 milioni x ml. DS 27.16 ) senza evidenza di significativi miglioramenti del numero degli spermatozoi ( P=0.055 test T di Student P=0.66 test F di Fisher ). Dall’analisi dei risultati non risulta esserci nel nostro gruppo di pazienti alcuna relazione tra l’età e l’entità delle alterazioni del numero degli spermatozoi allo spermiogramma (R= -0.035) ; mentre una bassissima associazione negativa sembra sussistere tra alterazioni del numero degli spermatozoi e latenza tra esordio della patologia e tempo dell’intervento (R= -0.24 ). Quest’ultima variabile non sembra essere correlata con i risultati funzionali dell’intervento ovvero con lo spermiogramma postoperatorio (R= -0.15 ). Un basso grado di associazione è stato riscontrato tra durata dell’intervento e giorni di degenza dei pazienti (R= 0.30 ). Queste ultime due variabili ,quando utilizzate per la verifica della entità delle difficoltà tecniche riscontrate nella esecuzione di tale chirurgia non presentano un significativo grado di associazione con gli indici antropometrici dei pazienti osservati (R=-0.05) ne con il grado emodinamico del varicocele (R=-0.08) ne con il tempo di latenza tra esordio della affezione ed intervento (R=0.11 ). Pertanto gli autori non considerano tali variabili validi indici predittivi delle difficoltà tecniche che si incontrano nella chirurgia tradizionale del varicocele.


DISCUSSIONE

Malgrado nel corso di tale studio si sia perseguita una rigorosa metodologia analitica , gli autori non possono astenersi dall ’ autocriticare l’ analisi dei risultati. Questa infatti potrebbe essere messa in discussione per la grande omogeneità del campione riscontrata nella rilevazione delle caratteristiche antropometriche dei pazienti selezionati e per non aver tenuto nella giusta considerazione il tipo di anestesia impiegata per la esecuzione degli interventi . Non in tutti i casi si è infatti ricorso alla anestesia generale ma si è spesso ricorso ad una anestesia spinale selettiva la quale in taluni casi può influenzare le difficoltà tecniche riscontrate dal chirurgo. Per una analisi di tale variabile bisognerebbe ricorrere ad un accurato studio psicologico dei paziente e della intera équipe operatoria facendo ricorso a test psicometrici.

CONCLUSIONI Gli autori con il presente studio hanno analizzato quelle che sono considerate alcune delle variabili che influenzano le difficoltà tecniche di altri tipi di chirurgia. Le conclusioni a cui essi giungono sono che la standardizzazione della tecnica operatoria permette al chirurgo di ovviare alle difficoltà che tale chirurgia presenta. Tali risultati vanno considerati per un futuro confronto con le altre tecniche chirurgiche adoperate per il trattamento del varicocele quali quelle laparoscopiche e mininvasive .


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9- Palomo A. “Radical cure of varicocele by a new tecnique : preliminar report.” J. Urol. 1949 ; 61-604.

10- Colton T. “Statistics in medicine” -by little, Brown and company -Boston - p. 1-355.

Pubblicato su

Gastroenterology International

(vol . 10, suppl.3 p 991-992,1997)

Napoli 18 Luglio 2021

Dr. Alessandro Finelli MD - PhD

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