
News 2024
Editoriale
Ultrasuonologia Vascolare diagnostica vs Flebografia
VARICOCELE RECIDIVO:STUDIO COMPARATIVO STRUMENTALE, VELOCIMETRIA DOPPLER VS FLEBOGRAFIA.
FINELLI A MD.,AMATO B MD.,PIEMONTE F MD.,MARKABAOUI A.K..MD IACCARINO V Prof. MD PhD.,PERSICO G. Prof MD -PhD
UNIVERSITA DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
VII DIVISIONE DI CHIRURGIÁ GENERALE E MICROCHIRURGIA
DIRETTORE:PROF. G. PERSICO
RIASSUNTO:
L’insuccesso terapeutico dopo trattamento chirurgico del varicocele è stimato in letteratura avere una incidenza che varia secondo le casistiche dei vari autori tra il 7% ed il 20%. Gli autori presentano la loro esperienza relativa a 38 casi di varicocele recidivo osservati tra il settembre 89 ed il mese di giugno 91.
Si sottolinea l’importanza di un trattamento chirurgico che, rispettando codificati principi fisiopatologici, tende ad ottenere una valida correzione delle alterazioni emodinamiche che sostengono la alterazione funzionale di tale affezione. In tale ottica viene inquadrato il ruolo svolto dall’esame velocimetrico Doppler e dalla flebografia nell’iter diagnostico dei varicocele recidivo.
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INTRODUZIONE
Si deve a Coolsaet (1) la comprensione dei momenti eziopatogenetici che sono alla base della alterazioni emodinamiche del varicocele primitivo; questi con i suoi studi flebografici ha ben identificato la complessità del drenaggio venoso testicolare. Lo stesso autore ha proposto una classificazione etipatogenetica del varicocele idiopatico che viene cosi distinto in tre tipi in funzione della variazione anatomo-flebografiche da lui evidenziate.
La comprensione degli insuccessi terapeutici dopo trattamento del varicocele idiopatico può essere interpretata in tale chiave; il varicocele di tipo I (nutcracker alto) che si giova dei classici interventi di legatura alta della vena spermatica interna (2-3) incide con una percentuale del 90¥ dei casi. l varicocele di tipo II (nutcracker basso) e di tipo III (nutcracker alto e basso)¬ rappresentano l'altro 10% dei casi che non si avvalgono di tale tipo di trattamento.
La clinica ,il laboratorio (spermiogramma, dosaggio del testosterone, FSH,LH) e la velocimetria Doppler permettono di porre diagnosi di varicocele e per il loro basso costo possono essere adottati per lo screening di coppia nei casi di infertilità od ipofertilità maschile. Ben diverso è il ruolo svolto dalla flebografia nell’iter diagnostico del varicocele primitivo soprattutto quando questo è recidivo. Gli autori ribadiscono l’importanza dell’esame flebografico nel varicocele recidivo al fine di classificare in modo corretto il tipo di varicocele ed eseguire una mirata correzione chirurgica dello stesso senza ricorrere a scelte tecniche spesso dettate dalla sola attitudine del chirurgo operatore.
La nostra esperienza riguarda 34 pazienti affetti da varicocele recidivo di età compresa tra é 15 ed i 27 anni osservati dal settembre 87 al giugno 91. Gli autori hanno considerato in accordo con la classificazione di De Bellis (4) sia pazienti con varicocele residuo e persistente (12 pz =35,3%), i quali ai controlli velocimetrici postoperatori eseguiti a 3, 6 e 12 mesi non presentavano regressione del reflusso spermatico-testicolare;sia pazienti con reale varicocele recidivo (22 pz = 64,7%) che dopo un iniziale miglioramento dei reperti velocimetricï postoperatori, agli ulteriori controlli presentavano la ricomparsa del reflusso. In 25 pazienti dopo la conferma ultrasonografica, abbiamo eseguito l’esame flebografico per via transfemorale (5) che non eseguiamo routinariamente nei pazienti da operare in prima istanza per la invasività di tale metodica. Dal momento che tutti i suddetti pazienti avevano ricevuto un intervento di legatura alta della spermatica interna e sclerosi retrograda della stessa con atoxisclerol al 2%;il significato della flebografia è stato quello di identificare situazioni anatomiche quali vene spermatiche interne accessorie od un nutcracker basso che sostenessero la recidiva. In tre dei 12 pazienti con varicocele residuo la flebografia mostrava persistenza della patologia sostenuta da vene spermatiche interne accessorie e/o collateralità'. In tal pazienti si è eseguita una derivazione safeno-pampiniforme con tecnica microchirurgica. Negli altri 9 pazienti non è stata necessaria la flebografia perché ai controlli velocimetricï si era evidenziato una insufficienza concomitante dell'ostio safeno-femorale omolaterale che è stata corretta in anestesia locale secondo tecnica C.H.I.V.A. (6).
Gli altri 22 pazienti sottoposti ad esame flebografico presentavano recidiva sostenuta in 6 casi (27,3%)dalla persistenza di reflusso reno-spermatico (nutcracker alto) ed in 16 casi (72,7%) dalla presenza di nutcracker basso e dunque da un varicocele di tipo II divenuto dopo l’atto chirurgico iatrogenamente di tipo III. Nel primo gruppo abbiamo eseguito una derivazione safeno-pampiniforme con tecnica microchirurgica mentre nel secondo siamo dovuti ricorrere alla derivazione tra spermatica interna ed epigastrica inferiore termino terminalmente previa sezione di quest'ultima a monte dello sbocco della spermatica esterna.
I pazienti con varicocele residuo o recidivo che hanno ricevuto la derivazione microchirurgica safeno- pampiniforme (3+6=9=26,5%) per il persistere di un varicocele di tipo I hanno tutti sortito beneficio clinico avvalorato dal miglioramento dello spermiogramma nei controlli eseguiti a 6 e 12 mesi. Nei nove pazienti (26,5%) con varicocele residuo in cui si è ricorso alla sola correzione dell'ostio safeno-femorale con tecnica C.H.I.V.A. senza ricorrere all’esame flebografico anche si è assistito alla regressione del varicocele che probabilmente era sostenuto da un reflusso safeno-spermatico alimentato dalle anastomosi esistenti tra vene scrotali e safene interne mediante le vene pudende esterne (1). In questi ultimi casi la legatura all'ostio della safena sec. tecnica c.h.i.v.a. negativizza la pressione nella safena ristabilendo il fisiologico flusso venoso scrotale-safenico.
La risoluzione clinica con miglioramento dello spermiogramma si è avuta anche nei 16 pazienti in cui si è dovuto ricorrere alla derivazione spermatico- epigastrica sulla guida dell’esame flebografico che ci ha indirizzati sulla situazione anatomica loco-regionale per la programmazione di un sicuro intervento derivativo [evidenziazione dello sbocco della spermatica esterna nella epigastrica inferiore, individuazione di eventuali valvolazioni della epigastrica inferiore che possono inficiare il successo della microanastomosi].
Alla luce della loro esperienza gli autori ribadiscono il ruolo di primaria importanza della velocimetria nel porre diagnosi di varicocele recidivo soprattutto se subclinico .Tuttavia l’indagine, come già da molti autori riferito (7-9),non dà indicazioni sul tipo di varicocele e dunque non identifica la reale sede del reflusso, presupposto essenziale per eseguire una adeguata correzione chirurgica. Per tale ragione gli autori ritengono indispensabile l’esame flebografico per conoscere la situazione anatomica che sostiene tale tipo di patologia e per scegliere la giusta soluzione terapeutica. La scelta in talli casi potrà essere una derivazione microchirurgica safeno-pampiniforme, proposta negli anni 70 (10) e ripresa negli anni 80 (11-12),quando persiste un varicocele di tipo I; oppure potrà consistere in una derivazione spermatico-epigastrica come proposto da Belgrado (13) in caso di recidiva da varicocele di tipo II e III. Nella recidiva sostenuta da reflusso safeno- scrotale si propone una correzione della insufficienza ostiale con tecnica c.h.i.v.a. Questo ultimo caso è l’unico in cui l’esame velocimetrico Doppler sembra permettere una selezione dei pazienti che non vanno indirizzati verso l’esame flebografico.
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Recensione
"VARICOCELE RECIDIVO :STUDIO COMPARATIVO STRUMENTALE : VELOCIMETRIA DOPPLER VS FLEBOGRAFIA. "Min.Angiol: suppl.2 al vol.16 oct.dic.1991pag.77-9.
Comunicazione presentata al II Congresso Nazionale del Gruppo Italiano Di Ultrasuonologia Vascolare . Bologna 15-17 ottobre 1991
Microchirurgia Sperimentale
Editoriale di Autore
Modello sperimentale per la realizzazione del linfedema agli arti posteriori nel ratto.
Finelli A., Persico M., Persico G., Gonzales E.*, Cozzolino S..*
Università degli studi di Napoli Federico II
Cattedra di chirurgia generale -V Divisione di Chirurgia Generale e Geriatrica.
Direttore: Prof: G. Persico Via S.Pansini 5 (80131) Napoli Tel. 081\7462754
*Settore biofarmacologico A.O. A.Cardarelli -Napoli-
SUMMARY
The reconstuctive microsurgery of the lymphatic vessels presents a lot of technical difficulties as that to use good experimental models to study surgical techniques. The authors propose experimental models in the rat to make a lymphedema at posterior paws. They have been used 21 female rats wistar; the tested variables are the body weight and size of rat’ s limbs. The latest variable has been monitored with water’s pletismometer 7150. The results have been analyzed with T-Student test to establish the levels of statistical significance (P) , and with correlation coefficient of Karl Pearson (R) to establish the association grade of the tested variables .
RIASSUNTO
La microchirurgia dei vasi linfatici presenta tra le tante difficoltà tecniche quella di non usufruire di modelli sperimentali validi per lo studio delle tecniche chirurgiche e delle evoluzioni tecnologiche proposte . Gli autori con tale studio propongono un modello sperimentale nel ratto con il quale si è realizzato uno stato linfedematoso agli arti posteriori di 21 ratti Wistar di sesso femminile . Le variabili utilizzate per la verifica dello studio sono state il peso corporeo e la volumetria degli arti posteriori degli animali da esperimento . Quest’ultima variabile è stata monitorata utilizzando un dispositivo ad acqua (water’s pletismometer 7150) . I risultati sono stati analizzati utilizzando il T-test di Student (P) per la definizione dei livelli di significatività statistica ed il coefficiente di correlazione di Karl Pearson (R) per definire il grado di associazione tra le variabili testate .
INTRODUZIONE
La microchirurgia dei vasi linfatici presenta delle grosse problematiche sia di ordine clinico che sperimentale (1-2). Tra queste ultime quella che maggiormente nel passato come nel presente impegna i ricercatori è la realizzazione di un valido modello sperimentale animale .(3) Quest’ultimo deve rispondere ai seguenti requisiti per essere considerato efficiente ed efficace : 1) basso costo , 2) facile realizzabilità ; 3) utilizzo di animali di piccola taglia ; 4) adeguamento alla vigente normative in materia di sperimentazione animale.(4) In letteratura si sono spesso riportati modelli sperimentali un cui si faceva ricorso all’utilizzo di animali di grossa taglia (il cane) per lo studio dei linfedemi (3-5-6). Taluni di tali modelli sperimentali bene si prestano a studi di fisiopatologia della linfostasi secondaria (7) [ attività contrattile dei vasi linfatici , tendenza dei vasi linfatici a formare circoli di collateralità in caso di linfedemi cronici etc.] o biofarmacologici . Più di recente (3-8) si è cercato di trasferire gli stessi modelli sperimentali proposti per animali di grossa taglia su quelli piccola taglia. Tale esigenza è nata alla luce della necessità di giungere ad un modello sperimentale che risponda ai requisiti sopra menzionati . Infatti l’utilizzo di animali di grossa taglia rende di facile esecuzione i modelli sperimentali proposti cosicchè essi risultano realizzabili anche da parte di chirurghi non dotati di grossa esperienza microchirurgica , tuttavia il loro utilizzo non è adeguato a realizzare modelli sperimentali di basso costo ed ottemperanti con facilità alla rigida legislazione che sul nostro territorio regolamenta la sperimentazione animale . Comunque da una revisione della letteratura sull’argomento si è potuto rilevare che i principali modelli proposti sono quelli di Danese (5) ed Olzewski (6) sul cane ripresi e proposti in tempi successivi rispettivamente sul coniglio e sul ratto da Campisi (8) e Wang (7) . Il primo modello sperimentale (5-8) è quello che meglio si presta allo studio delle tecniche di microchirurgia ricostruttiva dei linfatici per la terapia dei linfedemi secondari . Con tale modello sperimentale la creazione del linfedema agli arti posteriori degli animali da esperimento è realizzato sezionando un breve tratto dei collettori linfatici paracavali e\o interaorticocavali. Il secondo modello più adatto a realizzare linfedemi sperimentali in minor tempo e di maggiore entità si presta più allo studio delle alterazioni fisiopatologiche della linfostasi ed a studi biofarmacologici dei linfedemi. Quest’ ultimo modello sperimentale prevede la legatura periferica dei collettori linfatici eseguita in sede inguinale con una incisione circonferenziale dei tegumenti degli arti posteriori degli animali da esperimento . Per rendere più valido tale modello sperimentale viene proposta le sutura circonferenziale dei tegumenti al sottostante piano muscolare così da evitare , o per lo meno ritardare , la neovascolarizzazione linfatica collaterale che rappresenta il primo meccanismo fisiologico che si oppone alla linfostasi secondaria . Con il presente studio gli autori propongono un originale modello sperimentale sul ratto con cui si realizza uno stato linfedematoso agli arti posteriori degli animali da esperimento utile per monitorare i risultati che si possono ottenere con i vari approcci tecnico-microchirurgici dei vasi linfatici.
MATERIALI E METODI
Sono stati utilizzati per lo studio 21 ratti Wistar di sesso femminile , età media 5,3 mesi DS + 1,46 (range 3-7 mesi ) e dal peso medio di 293,7 gr. DS + 31,8. Tutti i ratti sono stati mantenuti a dieta standard per l’intera durata dello studio la cui durata media è stata di 56,8 DS + 53,3 giorni (range 14-156 gg.). La realizzazione del linfedema agli arti posteriori degli animali da esperimento è stata realizzata ricorrendo alla tecnica di Danese e Campisi (2-5-8) modificata . Tutta la sperimentazione è stata eseguita nel pieno rispetto di quanto raccomandato dal C.I.OM.S (Council For International Organization of Medical Sciences ) e dal d.L.vo 116\92 (4) in materia di sperimentazione animale. Pertanto tutti i ratti sono stati sottoposti a profilassi antibiotica con benzilpenicillina od ossitetraciclina (7000 UI\100 gr. di peso corporeo ) somministrata intramuscolo in unica dose 30 minuti prima dell’intervento ( very short term therapy ) ; inoltre ogni procedura arrecante dolore agli animali da esperimento è stata eseguita in anestesia generale indotta con xilazina (0.05 ml. x 300gr. di peso corporeo = 7 mg. \kg.) e Ketamina ( 0.1ml x 100 gr. di peso corporeo = 60 mg.\Kg.) e mantenuta con dosi supplementari degli stessi farmaci pari al 50% della dose starter ogni 60 minuti intramuscolo . In anestesia generale si è dunque proceduto, a laparotomia xifo-pubica, identificazione nel retroperitoneo i collettori linfatici paracavali , paraortici e\o interaortico-cavali (generalmente in numero di due) e loro legatura (senza sezionarli come invece è previsto dai precedenti modelli sperimentali) con filo non riassorbibile intrecciato(seta 7-8 zero) . Prima dell’intervento ed al momento della verifica dei risultati i ratti sono stati pesati e la volumetria dei loro arti posteriori misurata con un dispositivo ad acqua ( water’s pletismometer 7150). Tutte la procedura è stata realizzata con l’ausilio di un microscopio operatorio della Zeiss (OPMI 99) utilizzando il minimo ingrandimento (0.6 gamma =5x). Il peso corpereo ed i valori pletismometrici degli arti posteriori dei ratti sono state le variabili dipendenti continue utilizzate per la verifica del modello sperimentale . I risultati sono stati analizzati utilizzando il T test di Student per la definizione dei livelli di significatività statistica (P) ed il coefficiente di Karl Pearson (R) per il grado di associazione tra le variabili .
RISULTATI
I ventuno ratti operati presentavano prima dell’intervento un peso medio di 293.2 DS + 31.8 gr. e valori pletismometrici agli arti posteriori destri e sinistri rispettivamente di 1.51 DS + 0.25 e 1.42 DS + 0.28 ml. La durata media dell’intervento è stata di 39,1 DS + 24.8 minuti e l’intervallo di tempo tra l’intervento (tempo T0) e la verifica dei risultati (tempo T1) di 56.8 DS +53.3 giorni ( range 14-154 giorni ). Al tempo T1 si è assistito ad un incremento medio del peso corporeo degli animali da esperimento (media 305.5 DS + 29.9 ) e dei valori pletismometrici agli arti posteriori in taluni casi raddoppiati di volume (dx media 1.56 DS + 0.39; sx media 1.46 DS + 0.33 ) anche se questo incremento non ha raggiunto i livelli della significatività statistica . (vedi TAB: I) Comunque un basso grado di associazione tra le variabili è stato riscontrato tra le variabili peso ed i valori pletismometrici al tempo T1 (R=0.34).
DISCUSSIONE
Anche se i risultati riportati , in prima istanza , possono apparire deludenti se comparati con quelli della letteratura ; tuttavia osservando il grafico della distribuzione di frequenza dei rilievi pletismometrici degli arti posteriri dei ratti al tempo T1 (Fig.1) e confrontandolo con quello dell’intervallo di tempo T0-T1 (Fig.2) si può constatare che il maggiore incremento volumetrico delle zampe posteriri dei ratti si ottiene tra i 30 ed i 40 giorni successivi all’intervento per poi ritornare nella norma dopo i 90 giorni. Tutto ciò si spiega ammettendo che quello di 30-40 giorni è il tempo necessario per la realizzazione del linfedema con tale modello sperimentale : Dopo i 90 giorni lo stato linfedematoso tende a regredire per la neovascolarizzazione collaterale linfatica a carico del retroperitoneo come si è potuto rilevare sottoponendo a relaparotomia i ratti al tempo T1.
CONCLUSIONI
Con tale studio gli autori propongono un utile modello sperimentale nel ratto per lo studio delle tecniche microchirurgiche sui vasi linfatici . L’utilità di tale modello risiede nel fatto che possono essere utilizzati animali di piccola taglia per creare un linfedema degli arti posteriri ;nella facilità di esecuzione e monitoraggio dei risultati nonchè nel basso costo della procedura. Lo svantaggio risiede nel fatto che la metodica prevede che ulteriori procedure microchirurgiche da sperimentare sui vasi linfatici vadano eseguite nella stessa sede dove si è proceduto alla legatura dei collettori linfatici.Tutto ciò per non inficiare il monitoraggio pletismometrico previsto dal modello sperimentale con interventi eseguiti su strutture linfatiche più periferiche e per procedere alla interruzione di quella neovascolarizzazione linfatica collaterale del retroperitoneo che tende ad annullare l’atto operatorio primario. Altro ovvio limite di tale modello è la necessità di intervenire sulle strutture linfatiche solo nel ristretto range di tempo dei 30-40 giorni successivi alla legatura dei collettori linfatici poichè prima dei 15 giorni non si è dimostrato realizzarsi un sufficiente stato linfedematoso a carico degli arti posteriori e dopo i 90 giorni la neovascolarizzazione linfatica collaterale ne ha già determinato la regressione . Tuttavia da altro canto il modello sperimentale ben si presterebbe per lo studio biofarmacologico di sostanze medicamentose che possono accelerare od ritardare tale neogenesi vascolare linfatica
BIBLIOGRAFIA
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5]Danese C., Papaioannou A., Morales L., Nitsuda S. “Surgical approaches to lymphatic blocks “ Surgery 64 (1968) 821-826
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9]Colton T. “ Statics in medicine “ by little Brown and Company - Boston pag.1-355
10] Armitage P. “ Statistical methods in medical research .” • Blackwell scientific publication -1971 p. 1-461 •
ADDRESS AUTHOR: DR. ALESSANDRO FINELLI VIA ARENACCIA 128 (80141) NAPOLI TEL. 081\7807943
Neaples 18 April 2021
Pubblicato su Simple Site
Alexander Finelli MD - PhD
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fig. 1: M.O. 250 X
Colorazione sec. Gomori per le fibre elastiche: Vaso linfatico pervio in sede di angiogenesi linfatica
fig. 2: M.O. 250 X
Colorazione Ematossilina Eosina per le fibre elastiche: Vaso linfatico pervio in sede di angiogenesi linfatica.
Dettaglio della precedente



Editoriale di Autore
Microchirurgia Sperimentale
La colla di fibrina quale collante biologico utilizzato per il confezionamento delle microanastomosi linfatico -venose .
Studio sperimentale controllato nel ratto.
Finelli A., Persico M., Persico G., Gonzales E.*, Cozzolino S..* D'Armiento F.P. **
Università degli studi di Napoli Federico II
Cattedra di chirurgia generale - V divisione di chirurgia generale e geriatrica.
Direttore : Prof: G. Persico Via S.Pansini 5 (80131) Napoli Tel. 081\7462754
*Settore biofarmacologico A.O. A.Cardarelli -Napoli-
**Istituto di Anatomia ed Istologia Patologica: Direttore:Prof.A.Cali'
SUMMARY
The authors show their experience on use of fibrin sealant to realize lymphatic-venous anastomoses . Twenty-one female rats have been used for the study; after making a lymphedema at the back paw of the animals binding lymphatic paracaval vessels , the investigators have reconstructed lymphatic vessels with autografts of superficial inguinal epigastric [ postero] inferior vein. Ten rats are the controls with anastomoses made without glue, eleven rats are the treated with anastomoses made with fibrin glue. Results of the study show that venous autografts made with fibrin sealant have a higher patency index than venous autografts made without glue. This work shows utility and profit of the use of fibrin sealant to make limphatic -venous anastomoses.
RIASSUNTO
Gli autori presentano la loro esperienza sull’uso della colla di fibrina per la realizzazione delle anastomosi linfatico-venose . Per lo studio sono stati utilizzati 21 ratti Wistar di sesso femminile; dopo aver realizzato un linfedema secondario ai loro arti posteriori, legando i collettori linfatici paracavali , la ricostruzione dei vasi linfatici è stata eseguita con un autograft di vena epigastrica superficiale inferiore. In 10 ratti (i controlli) le anastomosi sono state eseguite senza collante biologico, mentre in 11 ratti ( i trattati ) le anastomosi sono state eseguite con la colla di fibrina. I risultati dello studio depongono per un maggiore tasso di pervietà degli autoinnesti venosi eseguiti con la colla di fibrina dimostrando così la validità ed efficacia del prodotto Inoltre con il suo uso le microanastomosi linfatico-venose risultano tecnicamente più agevoli da eseguire; infatti nei ratti trattati il tempo necessario per la loro esecuzione è stato significativamente inferiore rispetto ai controlli.
INTRODUZIONE Da parecchi anni si discute sulla validità dell’utilizzo dei collanti biologici in chirurgia. Parecchi sono i materiali proposti nel corso degli anni e numerosi sono i campi di applicazione . Ancora oggi non esiste un biomateriale che risponda a pieno ai requisiti ideali per una sicura applicazione clinica. Tra le caratteristiche più salienti che dovrebbero rendere valido per la applicazione clinica un tale prodotto vanno annoverate: (1) 1 1) La buona capacità adesiva del prodotto intesa come proprietà saldante (cicatrizzante) tessutale. 2) La biocompatibilità intesa come inerzia tessutale ovvero la scarsa tendenza a dare fenomeni di istotossicità quali la reazione granulomatosa da corpo estraneo, e dunque una buona bioriassorbibilità. 3) La compliance intesa come elasticità conferita ai tessuti saldati. 4) La capacità emostatica. Tra i prodotti sperimentati nel corso degli anni ricordiamo gli acrilati , i quali essendo prodotti di sintesi sono dotati di scarsa biocompatibilità e nessuna capacità emostatica. Più di recente sono stati introdotti nella pratica clinica i collanti biologici che presentano caratteristiche più attinenti ai requisiti di un buon collante tessutale. Tra questi quello che ha riscontrato maggiori consensi in ambito clinico è certamente la colla di Fibrina . Numerosi consensi tale biomateriale ha ottenuto nella sua applicazione clinica in chirurgia addominale per eseguire l’emostasi di trance di sezione di organi parenchimatosi e\o per solidarizzare anastomosi digestive eseguite sia con tecnica tradizionale manuale che con l’utilizzo delle cucitrici meccaniche (2-3-4-5). Controversie esistono ancora circa il suo utilizzo clinico in chirurgia vascolare per il confezionamento della anastomosi vascolari : Qui il presupposto del suo utilizzo è quello di confezionare anastomosi con la apposizione di un minor numero di punti così da conferire alla anastomosi una maggiore compliance riducendone il tasso di incidenza di stenosi e\o trombosi a breve e lungo tempo(6-7-8). Il suo utilizzo in chirurgia vascolare potrebbe essere esteso a quei pazienti nei quali le anastomosi per una diatesi ipocoagulativa tendono a dare emorragie, in questo caso la proprietà emostatiche del prodotto permettono di ovviare alla grave complicanza.
Tutti i sopramenzionati requisiti stimolano l’utilizzo del collante in microchirurgia vascolare dove maggiormente si sente l’esigenza di ricorrere ad ausili tecnici e\o tecnologici che rendano l’atto operatorio più agevole e nel contempo più sicuro ed efficace :(6-7-8-9-10). Da qui ne è derivato l’intento di utilizzare il materiale per il confezionamento delle microanastomosi linfatico-venose nella chirurgia ricostruttiva dei vasi linfatici. (6-11-12). Negli anni 90 la colla di fibrina in commercio era disponibile nella forma a due componenti (1-3) ; il primo componente o collante è costituito da Fibrinogeno, Fattore XIII e plasmoproteine (albumina e crioglobuline ovvero globuline insolubili al freddo (- 4 °); mentre il secondo componente o sostanza indurente (catalizzatore ) è costituito da una miscela di trombina e CaCl2 (calcio cloruro). Ad uno dei due componenti , generalmente il primo , viene aggiunto un inibitore della fibrinolisi: Aprotinina (20-100UIK\ml) per ritardare i fenomeni di riassorbimento del coagulo formatosi dalla miscelazione dei due componenti . La miscelazione dei componenti avviene al momento della applicazione del prodotto che si realizza con una siringa Duplojet. La velocità di formazione del coagulo varia in funzione della concentrazione di trombina utilizzata [100-500 UNIH\ml]; pertanto maggiori sono le sue concentrazioni e più rapidamente si forma il coagulo di fibrina. Anche le proprietà emostatiche del prodotto sono direttamente proporzionali alla quantità di trombina utilizzata . Malgrado i campi di applicazione della colla di fibrina tendevano sempre più ad ampliarsi [ in neurochirurgia per la realizzazione delle neurorrafie (14-15-16) , chirurgia plastica per la realizzazione di innesti e\o lembi cutanei , ritidectomie , lipectomie addominali , trattamento delle ustioni e delle lesioni dstrofiche degli arti ad eziologia vasculogenetica (17-18-19-20-21-22) ], l’obiettivo dello studio presentato è quello di verificare con una sperimentazione controllata sul ratto la validità dell’utilizzo di tale collante biologico per il confezionamento delle microanastomosi linfatico-venose nella microchirurgia dei vasi linfatici ; austico campo di applicazione della microchirurgia vascolare. Lo Studio inoltre può rappresentare valido esempio ovvero modello sperimentale per la verifica della efficacia clinica di nuovi collanti biologici introdotti nella più recente pratica clinica.
MATERIALI E METODI
Sono stati utilizzati 21 ratti wistar di sesso femminile ed età compresa tra i 3 ed i 7 mesi di vita (media 5,3 mesi DS+ 1,46) , dal peso medio di 293,2 gr. DS +31,8. Lo studio è stato articolato in 3 fasi o tempi operativi ; il primo tempo (T0) ha previsto la realizzazione di un linfedema secondario agli arti posteriori degli animali da esperimento tramite la legatura dei collettori linfatici paracavali (tecnica di Danese modificata) , interaorticocavali e\o paraortici con un filo di sutura intrecciato non riassorbibile (seta 7-8 zero). Tutte le fasi o tempi della sperimentazione sono state eseguite attenendosi alle raccomandazioni in materia di sperimentazione animale del C.I.OM.S. (Council for International Organization of Medical Sciences) e nel rispetto della vigente legislazione [ D.L vo.116\92 ] (23). Pertanto tutte le procedure arrecanti dolore agli animali da esperimento sono state eseguite in anestesia generale indotta con Xilazina ( 0,05ml x 300gr. di peso corporeo = 7mg. \kg.) e Ketamina ( 0,01 ml x 100 gr. di peso corporeo = 60 mg.\ kg.) e mantenuta con dosi supplementari degli stessi farmaci pari al 50% della dose starter intramuscolo ogni 60 minuti. Le variabili testate ai fini della verifica dello studio sono state il peso corporeo dell’animale da esperimento e la volumetria dei loro arti posteriori misurati con un dispositivo ad acqua (water’s pletismometer 7150) . Le varie fasi della sperimentazione sono state condotte con l’ausilio di un microscopio operatorio (OPMI Zeiss 99) che consente ingrandimenti dai 5x (0.6 gamma) ai 15x (1,6 gamma ). I ratti prima degli interventi sono stati sottoposti a profilassi antibiotica ( very short term therapy) con benzilpenicillina od ossitetraciclina (7000 UI\100 gr. di peso corporeo ) in unica dose 30 minuti prima dell’intervento intramuscolo. L’uso della ossitetraciclina si è reso necessario negli animali da esperimento trattati con il collante biologico per non interferire con il tempo di formazione del coagulo (ritardarlo) come riportato in letteratura (1). Per la realizzazione del tempo T0 è stato sufficiente utilizzare il microscopio operatorio al minimo ingrandimento di 5x . Il secondo tempo della sperimentazione (T1) ha previsto la suddivisione dei ratti in due gruppi : il primo gruppo è rappresentato dai ratti di controllo ( 10 ratti dal peso medio di 306.9 gr. DS+ 30,3 al T0 e 294,6 gr. al T1) nei quali il drenaggio linfatico è stato ristabilito sezionando i collettori linfatici legati al tempo T0 e ripristinando la continuità anatomica del circolo linfatico interponendo tra i collettori linfatici prossimali e distali un autograft di vena epigastrica inferiore prelevata in regione inguinale bilateralmente ; il secondo gruppo è rappresentato dai ratti trattati ( 11 ratti dal peso medio al T0 di 280,9 gr.DS + 29,1 ed al T1 di 315,5 gr. DS + 26,18 ) nei quali le microanastomosi linfatico-venose eseguite per il confezionamento degli autografts venosi sono state eseguite con l’ausilio della colla di fibrina . In entrambi i gruppi di studio la tecnica adottata per la esecuzione delle microanastomosi linfatico-venose è stata quella per inosculamento dei collettori linfatici nell’innesto di vena autologa .(22-24-25-26-27-28) Tale tempo operatorio è stato eseguito con l’ausilio del microscopio operatorio utilizzandone il minimo ingrandimento (5x) per l’isolamento e preparazione della vena epigastrica e dei collettori linfatici mentre il massimo ingrandimento (15x) è stato utilizzato per il confezionamento della microanastomosi linfatico-venose . Trattandosi di anastomosi T-T non è stato necessario utilizzare la sonda guida di Degni (28) mentre si è sempre ritenuto utile esplorare la vena prelevata all’inguine alla ricerca di valvolazioni che potrebbero ostacolare il linfodrenaggio ( mai ritrovate nella nostra esperienza ) . Comunque l’autograft è stato sempre eseguito con vena invertita ovvero anastomizzando la vena ai collettori linfatici secondo la fisiologica direzione del flusso linfatico. La terza ed ultima fase dello studio ha previsto il sacrificio degli animali da esperimento ed il prelievo degli autografts a distanza di 15 giorni (T2) o 30 giorni (T3) dal precedente tempo della sperimentazione . La verifica della pervietà degli autoinnesti ( segno indiretto della funzionalità della microanastomosi ) è stata eseguita , preliminarmente , direttamente al microscopio operatorio in vivo ai tempi T2-T3 (29). I risultati dello studio sono stati analizzati utilizzando il test del chi quadrato ed il test T di Student per definire i livelli di significatività statistica (P) ddello studio , mentre il grado di associazione delle variabili testate e stato calcolato tramite il coefficiente di correlazione di Karl Pearson (R) trattandosi di variabili dipendenti dal caso e dunque continue e non discrete (30-31).
RISULTATI
I ratti utilizzati per lo studio al tempo T0 presentavano un peso medio di 293,2 gr. DS+31,8 e valori pletismometrici medi delle zampe posteriori rispettivamente destre e sinistre di 1,51ml DS + 0,25 ed 1,42 ml DS + 0,28. Al tempo T1 il peso dei ratti è risultato di 305,5 gr. DS + 29,9 ed i valori pletismometrici delle zampe posteriori destre e sinistre rispettivamente di 1,56 ml DS 0,39 ed 1,46 ml DS 0,33 . Pertanto si è assistito ad incremento del peso medio e della volumetria degli arti posteriori [anche raddoppiati di volume], variabili dipendenti dal caso che al tempo T1 hanno dimostrato avere un basso grado di associazione (R=0,34), (stato linfedematoso ) anche se non vengono raggiunti i livelli di significatività statistica: La durata media dell’intervento al tempo T0 è stata di 39,1 minuti DS + 24,8 mentre la durata degli interventi al tempo T1 è stata in media di 119,2 min. DS + 46,8. Confrontando la durata media degli interventi eseguiti nei due gruppi di ratti al tempo T1 ( controlli 160,1 min. DS + 29,6 trattati 82,1 min. DS + 20,6) si rileva una differenza statisticamente significativa (P value minore di 0.05) tra i due gruppi ad indicare che l’utilizzo del collante biologico rende tecnicamente più agevole l’esecuzione delle microanastomosi linfatico-venose. Al tempo T2-T3 dello studio i ratti hanno presentato un peso medio di 303,4 gr. DS + 32,4 e valori pletismometrici rispettivamente alle zampe posteriori destre e sinistre di 1,48 ml DS + 0,32 e 1,31 ml DS + 0,34. Questi risultati evidenziano un decremento del peso corporeo e del linfedema indotto sperimentalmente agli arti posteriori dei ratti. Tale decremento del peso corporeo è statisticamente significativo nei ratti in cui le microanastomosi linfatico-venose sono state realizzate con il collante biologico(P=0.023 minore di 0.05), mentre non è statisticamente significativo nei ratti di controllo. Diversi sono i risultati quando si valuta l’altra variabile analizzata ossia i valori pletismometrici delle zampe posteriori ; infatti si assiste ad un decremento del linfedema nei ratti dopo l’autoinnesto di vena ma questo non raggiunge i livelli di significatività statistica nei due gruppi di studio : ( vedi TAB:I) Tuttavia risulta interessante constatare che sussiste una differenza statisticamente significativa nel decremento del linfedema dei ratti la cui rilevazione pletismometrica è stata compiuta prima del prelievo dell’autoinnesto al tempo T3 (30 giorni dopo T1) rispetto a quelli il cui prelievo è stato eseguito al tempo T2 (15 giorni dopo T1): (TAB:II) La durata media degli interventi al tempo T2-T3 è stata di 19,04 min. DS + 7,9 ed anche in questo caso si è riscontrata una significativa differenza nella durata del tempo necessario per il prelievo degli autoinnesti tra i ratti in cui il confezionamento dell’autograft è stato eseguito con e senza l’ausilio del collante biologico. Il tempo impiegato per il prelievo dell’autoinnesto nei ratti di controllo è stato di 22,8 min. DS + 7,9 mentre nei ratti in cui è stato usato il collante biologico è stato di 15,6 min. DS + 6,39 (P=0.03 minore di 0.05) Infine da una preliminare valutazione della pervietà degli autoinnesti eseguita direttamente al microscopio operatorio al momento del prelievo si è potuto rilevare una pervietà degli autoinnesti eseguiti con il collante biologico del 81% contro il 40% (P minore di 0.05) di pervietà dei controlli (vedi TAB:III).
DISCUSSIONE
Dalla analisi dei risultati dello studio emerge che l’uso del collante biologico sperimentato rende tecnicamente più agevole l’esecuzione delle microanastomosi linfatico-venose. Difatti esiste una differenza statisticamente significativa (P minore di 0.05) tra la durata media del tempo impiegato per confezionare gli autografts venosi senza e con l’ausilio della colla di fibrina in cui si registra una durata media inferiore del tempo di intervento . Bisogna considerare che tutti gli interventi sono stati eseguiti dallo stesso sperimentatore. L’utilizzo del collante biologico oltre che fornire dei vantaggi tecnici consente anche di ottenere risultati clinici significativamente migliori ovvero più efficaci; infatti nei ratti in cui si sono confezionate microanastomosi linfatico-venose con l’ausilio del collante biologico si è riscontrato un decremento del linfedema indotto sperimentalmente agli arti posteriori statisticamente significativo (P minore di0.05) quando i risultati vengono valutati a lungo termine (oltre i 30 giorni). Lo stesso risultato si è ottenuto valutando il tasso di pervietà degli autoinnesti(segno indiretto di funzionalità delle microanastomosi) il quale è stato significativamente migliore nei ratti trattati (P minore di 0.05). Infine ad indicare che il collante biologico sperimentato induce un più rapido e fisiologico processo di cicatrizzazione tessutale c’e da considerare il minor tempo occorso per il prelievo degli autografts venosi al tempo T2-T3 nei ratti trattati . In questi casi l’uso del collante ha consentito una minore reazione desmoplastica nel retroperitoneo dove è stato più facile eseguire il prelievo rispetto ai controlli . Ulteriori informazioni si potranno ottenere con l’ulteriore studio istologico al M.O.(microscopio ottico ) ed al M.E.S.( microscopio elettronico a scansione ) degli autoinnesti venosi . I risultati di tale valutazione istologica (ancora in corso di studio) , potranno fornire informazioni anche sulle differenze qualitative tra anastomosi linfatico-venose realizzate con e senza l’ausilio della colla di fibrina .
CONCLUSIONI
Gli autori con questo studio controllato sul ratto hanno potuto verificare i vantaggi tecnici e clinici apportati dall’uso della colla di fibrina nell’ostile campo della microchirurgia ricostruttiva dei vai linfatici . I risultati dello studio mostrano come l’utilizzo di questo collante biologico rende più agevole l’esecuzione di anastomosi linfatico-venose , atto operatorio dotato di intrinseche difficoltà tecniche , e come ne migliora i risultati funzionali a distanza. Un più approfondito studio istologico potrà in futuro fornire ulteriori risultati a supporto di quanto rilevato con lo studio presentato.
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